La pasta spiegata da Gennaro Esposito

Può un uomo spiegare a una ventina di donne come si sceglie una pasta di qualità?
Se l’uomo è Gennaro Esposito, le donne – e per dovere di cronaca anche un paio di uomini – sono giornaliste e l’intento è quello di gettare dei sassolini nel troppo incontaminato stagno della consapevolezza scientifica in cucina, allora sì, anzi, ben venga. Lo scopo dello show cooking che si è tenuto nei giorni scorsi allo spazio-laboratorio di Teatro 7 a Milano (http://www.teatro7.com/), un indirizzo da annotarsi per regalarsi o regalare, anche in vista del Natale, una delle sfiziose lezioni giornaliere di cucina a tema) è stato infatti quello di ipotizzare incroci – certificabili – tra la cultura scientifica dei tecnici dell’alimentazione, lo spirito degli addetti ai lavori (giornalisti gastronomici, ma anche cuochi) e la consapevolezza dei consumatori, attorno al concetto di corretta percezione di “che cos’è la qualità”; la premessa l’inesistenza di un sistema, un panel, di degustazione per la pasta, per assurdo l’alimento più semplice da realizzare, con solo acqua e semola.
Gennaro Esposito, chef che di eccellenza se ne intende e che ne ha fatto uno dei cardini indispensabili per portare il proprio lavoro ai massimi livelli con rigore e disciplina, ha trasportato il racconto romantico della costruzione del piatto più consumato dagli italiani, la pasta appunto, in un’esperienza empirica, il modo migliore e più efficace per dimostrare qualcosa: partner d’eccezione il Pastificio de Cecco, leader italiano dal 1886 per la produzione di pasta di qualità superiore, oggi certificata – unica nel suo genere – per dieci parametri di eccellenza.
“Primo indicatore: il contenuto proteico superiore al 15% coniugato all’essicazione a bassa temperatura”. Se il primo dato si evince dall’etichetta, del secondo non vi è traccia, eppure una temperatura dell’acqua di impasto inferiore a 15°C rende più delicato il sapore della pasta, oltre a garantire una perfetta tenuta di cottura – nel caso di De Cecco, come evidenziato dal tecnologo dell’azienda Gerardo Dalbon in duetto perfetto con lo chef, anche con tempi superiori del 20% e una solida struttura proteica del glutine.
E Gennaro Esposito ci mostra, complice un vetrino, la differenza tra una pasta “veramente” al dente, perfettamente cotta senza il nervo crudo e bianco (visibile stringendo uno spaghetto nel vetrino), e una pasta all’apparenza cotta a regola d’arte, ma molle all’esterno, che si crepa e si sfalda al tatto, collosa alle dita. Ma non solo: l’acqua di cottura di una buona pasta secca non deve apparire troppo lattiginosa grazie, ancora, alla qualità del glutine che forma una maglia stretta da cui non fuoriesce troppo amido.
Terzo: “il colore ed il profumo si devono avvicinare alla semola”; molte paste cotte declinano dal rosa al marrone, indice della presenza di composti non naturali e di essicazione ad alta temperatura, che mantiene l’unico vantaggio di garantire una cottura al dente, ma a discapito di profumi, sapori, consistenza e attacco dei sughi. Invece una pasta di qualità preserva i colori e gli aromi della semola di grano duro, tant’è che lo chef suggerisce di “comprare un sacchetto di semolino e comparare il colore delle paste, se è simile si tratta di essicazione naturale”.
Quarto: ruvidità non eccessiva, persistente tanto da non scivolare tra indice e pollice ma da suggerire personalità, “non deve ricordare la plastica al tatto, ma qualcosa di vitale. In un piatto tutto ha il suo ruolo, però si può giocare bene o giocare male. Portiamo ingredienti per portare valori aggiunti, non per coprire” dichiara Gennaro Esposito mentre noi ci approcciamo empiricamente allo spaghetto al pomodoro e basilico, il connubio più semplice del mondo ma che, chissà per quale misteriosa alchimia, ha il potere di sgretolare le apparenze e di renderci tutti parte dello stesso tutto, un luogo dove i ricordi si mescolano alle aspettative e dove le definizioni sui biglietti da visita cedono il passo alle parole spontanee di madri, sorelle, zie. Donne. Prima e nonostante tutto.
Eppure è ancora un uomo che ci richiama al metodo: “Non facciamo bollire troppo l’acqua, la pasta si ubriaca. Mentre cuoce non offendiamola con il metallo, ma tocchiamola spesso con il cucchiaio di legno nei primi tre minuti, poi lasciamola stare. Bastano 6 g. di sale per aggiungerle sapore e quando parliamo di lei ricordiamo che solo raccontando cose vere, solo mettendosi a nudo, si fa la differenza”. Se applicassimo lo stesso principio, con meno distrazione e superficialità, a tutto ciò che ci riguarda, il mondo potrebbe essere diverso. Ma se da qualche parte si deve cominciare…
FONTE: CateringNews