PRIMO PIATTO DE CECCO 2010

Il Premio Primo Piatto De Cecco 2010 quest’anno è stato attribuito a Pino Cuttaia del Ristorante La Madia di Licata. Il riconoscimento, che la De Cecco destina ogni anno allo chef che si è contraddistinto per la capacità di valorizzare la pasta, è stato consegnato in occasione della presentazione della Guida L’Espresso I Ristoranti d’Italia 2010 che si è tenuta a Firenze il 7 ottobre. La ricetta che ha valso il premio al famoso chef siciliano è quella delle Tripoline con ragù di triglia, finocchietto selvatico e capugliato di pomodoro secco, un piatto che nasce dalla capacità di valorizzare un pesce della tradizione gastronomica siciliana attraverso la combinazione innovativa di sapori diversi come i pinoli, l’uvetta e il pomodoro secco tritato.

Intervista a Pino Cuttaia
Di origini siciliane, dopo aver trascorso molti anni a Torino, è tornato nella sua terra dove, racconta, ancora si può godere della stagionalità dei cibi e della loro originalità. Qui, a Licata, ha aperto il Ristorante La Madia, che in poco tempo ha conquistato l’approvazione dei critici più severi perché, attraverso la sua cucina, Cuttaia fa rivivere emozioni e sapori spesso dimenticati dell’antica tradizione siciliana. Così è anche con la pasta De Cecco, con la quale Pino Cuttaia compone ricette così fragranti di gusto e di profumi da divenire esperienza e poi ricordo indimenticabile.

Qual è l’elemento che ispira la creazione dei suoi piatti?
“La memoria, il ricordo di un sapore o di un profumo che ho sentito da bambino. Allora le mamme e le nonne cucinavano seguendo la stagionalità e a volte dovevi aspettare mesi perché arrivasse il momento buono per gustare questo o quell’ingrediente. Ricordo ancora la meraviglia di noi bambini quando il nonno o lo zio portavano i primi frutti di stagione o le prime verdure. Magari erano solo pomodori o fave, ma erano momenti di vera gioia. I prodotti avevano un sapore unico, indimenticabile, perché erano stati coltivati con cura e amore ed erano stati raccolti al momento giusto, una volta raggiunta la perfetta maturazione”.

Ora con la sua cucina lei cerca di far rivivere questi ricordi…
“Sì, cerco di riportare alla luce i sapori di un tempo, cerco di far rivivere al cliente le emozioni che ho provato da bambino e di ricreare con lui quel ricordo. Per questo utilizzo la tecnologia solo come strumento, come mezzo per riportare in superficie il sapore originale. Non amo le esasperazioni, dove le nuove tecniche stravolgono il prodotto. Non voglio stupire, ma emozionare. Uscendo dal mio ristorante ognuno deve portare con sé il ricordo di sapori e di profumi veri, che forse non aveva mai avuto occasione di provare prima”.

Può fare qualche esempio rappresentativo di questa sua ricerca?
“I piatti a base di seppia, un prodotto tipico del nostro mare, che in primavera, quando ero bambino, non mancava mai, anzi. Era quasi impossibile non mangiarlo perché tutti – mamme, nonne, zie e mamme di amici ecc. – in quel determinato periodo dell’anno, cucinavano la seppia. Per recuperare i sapori di un tempo ho fatto un’accurata ricerca, sono andato a ripescare le ricette tramandate da madre in figlia e sono arrivato a utilizzare tutte le parti della seppia. Per esempio, con il nero, essiccato e disidratato, ho creato una specie di spezia con cui colorare i piatti ed esaltarne il sapore. Con il manto della seppia ho fatto gli gnocchi. Ho ricostruito un piatto all’apparenza ardito, ma tipico della tradizione siciliana che accostava la seppia al maiale, e ho raggiunto un risultato inaspettato, l’Uovo di Seppia dove l’albume è costituito dalla pasta della seppia, che è candida, e il tuorlo è fatto con il tritato cotto nella salsiccia di seppia e condito con il sugo. La forma è certo originale, ma il sapore e il profumo permettono di riprovare i gusti autentici di un tempo”.

Tutto questo richiede però molto lavoro…
“Sì, ma io credo che il mio lavoro sia simile a quello dell’artigiano, che ogni giorno deve impegnarsi per realizzare un buon prodotto, di cui ci si può fidare. E’ attraverso questo costante lavoro, questa “fatica”, che riesco a infondere ai miei piatti quella memoria che poi diventa esperienza per i miei clienti”.

Nella sua cucina quanto è importante la pasta?
“Tanto, tantissimo, credo che non sia trascorso un solo giorno nella mia vita senza preparare o consumare pasta. La pasta è indispensabile, è parte integrante della nostra tradizione, è irrinunciabile per chiunque voglia conoscere i piatti che contraddistinguono la nostra cultura gastronomica. Certo è importante saperla cucinare al punto giusto. Una pasta come la De Cecco, per esempio, è buona anche preparata semplicemente con un po’ di olio extravergine di oliva. Anzi questo è il modo migliore per apprezzarne appieno il gusto, la fragranza e il profumo”.

Lei definisce la sua una cucina in bianco e nero. Perché?
“Perché, come le immagini in bianco e nero di una volta, la mia cucina rievoca persone, luoghi ed episodi lontani nel tempo e perché desidero che, come quelle immagini, la mia cucina comunichi emozioni e faccia rivivere storie e racconti. Ogni mio piatto è questo: un racconto. Non occorrono ricette, la storia rimane la stessa, ma il racconto può variare aggiungendo ogni volta quel pizzico di fantasia che rende unica ogni interpretazione”.

Perché un ristorante a Licata e non, invece, in una grande città come Roma, Milano o Torino?
“Qui sono a casa. Mi sento perfettamente a mio agio e, grazie a questa mia profonda sensazione di comfort, riesco ad occuparmi e preoccuparmi solo della mia cucina e dei miei ospiti. Qui posso seguire uno degli elementi fondamentali della mia cucina: la stagionalità. Altrove, per esempio a Milano, avrei sempre tutto a portata di mano in qualunque stagione dell’anno, rischiando di perdere quell’originalità dei sapori che deriva dall’averli colti nel loro momento migliore”.

La ricetta: Tripoline con ragu’ di triglia, finocchietto selvatico e capugliato di pomodoro secco

La Madia
Via Filippo Re Capriata, 22
Licata (Agrigento AG)
tel. 0922.771443
www.ristorantelamadia.it